Aria di crisi
Dall’articolo 18 alla campagna elettorale

Il segretario della Cgil Susanna Camusso, ospite di una trasmissione televisiva ieri sera ha detto di ritenere inaccettabile quando "un lavoratore non può raggiungere mai le tutele che hanno gli altri”. Una ragione in più per cambiare il mercato del lavoro, perché vi è oramai nel paese una maggioranza di giovani e di donne senza un’occupazione stabile che non sanno nemmeno cosa siano le tutele, figurarsi se conoscono l’articolo 18. Per non parlare di lavoratori di ogni età nelle medesime condizioni di incertezza. Con tutto il rispetto per la storia personale di Susanna Camusso, non vorremmo che le sfugga la condizione di un paese in cui la disoccupazione è aumentata a rotta di collo. E quando il rapporto fra occupazione e disoccupazione precipita a svantaggio della prima, le regole del mercato del lavoro vengono messe in questione automaticamente. Non ci dovrebbe nemmeno essere bisogno di Renzi. Ci dovrebbe essere un sindacato che da se si ponesse delle domande, incominciando a chiedersi se non ci fosse qualcosa di sbagliato. Purtroppo non si possono dare sempre tutte le cause della crisi al capitalismo. Ci sono dei capitalismi che a contrario del nostro democratizzato e welfarizzato avviato sull’orlo del precipizio, pascolano in praterie dorate, ad esempio, quello cinese. Anche di questo il sindacato non è che può far finta di niente, come se si trattasse di un mondo separato e diverso. Siamo sempre nello stesso mondo, quello, che quando veniva scritto lo statuto dei lavoratori, confidava di vedere trionfare presto il socialismo e la causa proletaria. Lo stesso mondo in cui oggi i proletari lavorano in una condizione che i vecchi gulag staliniani e campi di lavoro maoisti hanno reso eccezionale per i profitti delle multinazionali. Un riflessione sul come mai i Paesi emergenti, la Cina in primis, che secondo alcune statistiche potrebbe persino superare il prodotto interno lordo degli Stati Uniti, non salvaguardano le tutele dei lavoratori e quale impatto questo comporta nelle economie mondiali, i sindacati non l’ hanno mai fatta. I loro leader, quando lasciano l' incarico, invece di rimproverarsi di non aver elaborato niente sul modello economico del nuovo millennio, lamentano l’insoddisfacente livello raggiunto della loro pensione.
Questo lo spettacolo. Poi ci si stupisce che Renzi non si preoccupi della loro reazione. Renzi giustamente se ne è andato in America mentre gli ex comunisti del suo partito e un sindacato giurassico si lamentano delle sue proposte. Basta raccontare questo per trovare il consenso degli americani e anche se al Corriere della Sera elencano puntuti tutti i difetti del premier e pure qualcuno che sinceramente ci sfugge, Renzi con il consenso americano avrà altra benzina nel motore. Tanto che da Silicon Valley il premier ci ha fatto sapere che egli intende impiegare il suo 40 per cento elettorale per cambiare il Paese. Il problema è che egli, come ha ricordato Bersani governa grazie al 25 per cento ottenuto dal suo predecessore. Alla base del contrasto di oggi e delle tante difficoltà che incontra il governo c’è questa discrepanza, tale che più che ad un programma di governo per i prossimi novecento giorni, ci sembra di assistere ad una schermaglia elettorale che si potrebbe consumare in soli 150.

Roma, 25 settembre 2014